ratifica decreto legislativo

Politici Italiani e TLT, ignoranza o malafede?

ratifica decreto legislativo
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Nell’articolo precedente il Consigliere regionale della Lega, Antonio Lippolis alla Trasmissione di Telequattro, afferma che che la legge 3054 del 1952 non ha avuto continuità e sono leggi vecchie di 70 anni che non sono “all’ordine del Giorno…”

I Politici italiani dovrebbero capire che La Legge 25 novembre 1952 n. 3054, è la legge per Antonomasia (ad oggi in vigore, vedi foto) perchè, Ratifica del decreto legislativo 28 novembre 1947, n. 1430, concernente esecuzione del Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, quel decreto che ha concesso all’Italia di divenire una Repubblica qualche mese dopo, il 1° Gennaio 1948!

Se l’italia non avesse sottoscritto questo accordo internazionale, il quale Costituisce il Territorio Libero di Trieste e la priva di numerosi Territori (parte dell’Istria, comprese le isole adriatiche di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa, la città di Zara, cedute alla Yugoslavia – Briga e Tenda cedute alla Francia, la cessione delle isole del Dodecaneso alla Grecia; la rinuncia ai possedimenti territoriali in Africa:Libia, Eritrea e la Somalia Italiana) non sarebbe potuta diventare una Repubblica è la sua “legge Fondamentale” (Costituzione) non avrebbe mai visto la luce.

Ma i politici opportunisti non sempre “ignorano” gli accordi internazionali e le relative leggi cogenti che li assorbono all’interno dell’ordinamento italiano.
Ad esempio nel 2000 il Senatore Giulio Camber, in questo disegno di Legge che pubblichiamo, accusando l’ex Jugoslavia di aver violato l’allegato XIV del Trattato di Pace, ratificato dall’Italia con la legge 3054 del 25 novembre del 1952, usa questo strumento per richiedere risarcimenti per miliardi delle vecchie lire.

Come al solito il sistema dei due pesi e due misure, non si smentisce mai. Il Vezzo Italico, “la legge si applica ai nemici e si interpreta agli amici”, non si smentisce mai!


SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIII LEGISLATURA ———–

N. 4921

DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore CAMBER
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 14 DICEMBRE 2000
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Norme per l’indennizzo dei beni italiani perduti dai cittadini italiani nei territori dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia ceduti alla Jugoslavia
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Onorevoli Senatori. – È ampiamente noto che alla fine della II Guerra mondiale i cittadini italiani autoctoni di Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti, per salvare la vita e per mantenere la propria fedeltà alla Patria, ad un esodo di proporzioni bibliche, così abbandonando in quei territori, abitati da generazioni e generazioni di italiani autoctoni, ogni loro bene: case, terreni, campi coltivati, attività economiche, cimiteri.
Su una popolazione istriana, fiumana e zaratina di 400-450 mila abitanti, ben 300-350 mila (lo stesso Tito aveva indicato il numero complessivo di 300 mila) furono coloro che abbandonarono tutto per trovare rifugio in Italia, nelle Americhe, negli Stati occidentali d’Europa e nella lontana Australia.
La ex Jugoslavia espropriò quasi tutti i beni delle persone fisiche e giuridiche italiane situati nei territori ceduti, in aperta violazione dell’allegato XIV del Trattato di pace del 10 febbraio 1947, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, che stabiliva, all’articolo 9, il trattamento a cui dovevano venir sottoposti i beni italiani di quei territori: se i beni appartenevano a cittadini italiani che alla data del 16 settembre 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di pace) non erano permanentemente residenti nei territori ceduti, detti beni non erano soggetti a disposizioni legislative diverse da quelle applicabili ai beni di persone fisiche e morali di nazionalità straniera; se i beni appartenevano ad italiani permanentemente residenti nei territori ceduti al 16 settembre 1947, dovevano essere rispettati nella misura applicata per quelli jugoslavi.
Inoltre il Trattato di pace proibiva la compensazione del debito bellico italiano con i beni dei cittadini italiani nei territori ceduti (articolo 79, punto 6, lettera f)): in base a tale disposizione, la ex Jugoslavia poteva sequestrare solo i beni italiani – privati, parastatali e statali – siti nell’antico territorio jugoslavo fino alla concorrenza di 125 miliardi di dollari, somma a cui ammontavano le riparazioni belliche che l’Italia doveva pagare alla ex Jugoslavia.
Consapevole delle violazioni commesse allo scopo di costringere gli italiani all’esodo e di snazionalizzare la Venezia-Giulia, la ex Jugoslavia stipulò con l’Italia due accordi (uno del 23 maggio 1949 e l’altro del 23 dicembre 1950), con i quali si impegnò a pagare all’Italia una somma pari a circa 130 miliardi di lire del 1947 (corrispondenti a circa 3.330 miliardi attuali).
Inoltre, in violazione dei succitati punti del Trattato di pace, col terzo Accordo italo-jugoslavo del 18 dicembre 1954, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 11 marzo 1955, n. 210, tutti i beni dei cittadini italiani (anche quelli siti nei territori ceduti) vennero inclusi nel pagamento delle riparazioni belliche ed inoltre, sempre con tale Accordo (articolo 2, punto 3, secondo comma), il Governo italiano concordò che tutti i beni cosiddetti «liberi» dovevano essere assoggettati al trattamento cui sottostavano quelli jugoslavi.
In tal modo, alla millenaria proprietà degli abitanti italiani autoctoni venne tolta la difesa, cioé la particolare posizione giuridica riconosciutale dal Trattato di pace. Al riguardo, bisogna rilevare che il Governo italiano, che liberamente aveva stipulato con la ex Jugoslavia il primo, il secondo e il terzo Accordo, aveva il dovere di definire ogni contrasto derivante dall’interpretazione del Trattato di pace, e non doveva rinunciare a posizioni di diritto concesse dallo stesso Trattato, per poi accollare le conseguenze finanziarie (e morali) di tali rinunce agli esuli, colpevoli soltanto del fatto che la questione dei loro beni é stata forfettizzata, per comodità e per convenienza dei due Stati (Italia ed ex Jugoslavia), con le questioni tra i due stessi Stati; e tutto ciò, ripetiamo, in aperta violazione del Trattato di pace.
La rinuncia alla particolare posizione giuridica dei beni italiani siti nei territori ceduti – assicurata dal Trattato di pace – non ha avuto finora alcuna contropartita per i loro proprietari. Gli esuli, infatti, hanno ricevuto solo delle briciole di indennizzo.
Le suesposte considerazioni sono riferibili anche ai beni abbandonati nella cosiddetta «zona B» (529 chilometri quadrati di terra istriana ceduti col Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73), con l’aggravante che qui la disponibilità delle proprietà italiane é venuta a mancare per un atto deliberatamente e liberamente compiuto dal Governo italiano (il Trattato di Osimo) e non per causa di forza maggiore (Trattato di pace imposto all’Italia).
Come é noto, il Trattato di Osimo é risultato senza alcuna contropartita per l’Italia ed ha, invece, assicurato molti vantaggi alla ex Jugoslavia, avallando tutti gli espropri abusivi di beni italiani commessi dal Governo comunista jugoslavo «a partire dalla data dell’ingresso delle Forze armate jugoslave nel suddetto territorio»: cioè si riconoscono ufficialmente da parte italiana tutti gli espropri abusivi commessi dagli jugoslavi in zona B, sulla quale, fino alla firma del Trattato di Osimo, la ex Jugoslavia non aveva la sovranità.
Sebbene l’articolo 4 del Trattato di Osimo prevedesse un indennizzo «equo e accettabile dalle due Parti» per i beni italiani espropriati in zona B ed anche l’eventuale restituzione di una parte degli stessi, tutto ciò é rimasto lettera morta, tanto é vero che, dopo venticinque anni dalla firma del Trattato, questi beni non sono stati né indennizzati, né restituiti.
Il presente disegno di legge, quindi, intende anche offrire dati di riferimento per l’indennizzo totale «equo ed accettabile» dei beni italiani nazionalizzati (abusivamente) in zona B e mai restituiti; dati che, evidentemente, non erano a disposizione della Commissione che dal 1983 ha stipulato con la controparte jugoslava un irrisorio indennizzo globale di soli 110 milioni di dollari, vale a dire circa 330 lire al metro quadrato di terreno con sopra quanto edificato, cioè compresi alberghi, case, fabbriche, cantieri, eccetera!
A ulteriore chiarimento di quanto sopra, torna utile ricordare che con il Memorandum di Londra del 1954 l’Italia ha rinunciato, a favore della ex Jugoslavia, ad 85 miliardi di lire attinenti ai beni dei territori ceduti, il valore dei quali, secondo la valutazione dell’Ufficio tecnico erariale, ammontava complessivamente a lire 130 miliardi, per cui veniva posta a disposizione degli esuli la sola differenza dei restanti 45 miliardi di lire.
Il Governo italiano, pertanto, decise di usare l’indennizzo spettante agli esuli, nella misura di 85 miliardi, per ottenere il nullaosta jugoslavo all’ingresso a Trieste delle truppe italiane.
Lo Stato italiano, quindi, per restituire il denaro a suo tempo diversamente impiegato, dovrebbe rendersi conto della necessità di rivalutare i detti importi per indennizzare integralmente i titolari dei beni abbandonati.
Non si può non tenere presente in proposito che l’Italia é obbligata, in base al Trattato di pace del 1947, ad indennizzare i beni confiscati o nazionalizzati e che una legge dello Stato italiano (quella di ratifica dell’Accordo di Osimo) dispone che gli indennizzi debbano essere equi ed accettabili.
Da cinquant’anni, quindi, si protrae la ricerca di una soluzione che sancisca l’equo e definitivo indennizzo dei beni abbandonati nei territori passati a sovranità jugoslava.
Ciò in quanto il cittadino già proprietario di beni nei territori ceduti alla ex Jugoslavia, e da questa nazionalizzati, vanta verso lo Stato italiano un diritto soggettivo perfetto alla corresponsione dell’indennizzo (sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite civili n. 1549 del 18 settembre 1970), ha diritto cioè che i beni gli vengano indennizzati integralmente dal Governo italiano.
Si ricorda al riguardo che solo un semplice «interesse legittimo» ad un indennizzo, concesso e liquidato in modo discrezionale dall’amministrazione dello Stato, é stato attribuito oltre che per i danni di guerra anche per i beni dei cittadini italiani perduti in Tunisia (decreto legislativo 6 aprile 1948, n. 521) e nell’antico territorio jugoslavo del 1939 (articolo 79 del Trattato di pace reso esecutivo in Italia col decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, e sentenza della Corte di cassazione, prima sezione, n. 424 del 9 febbraio 1968).
Finora, invece, gli esuli titolari di beni hanno ricevuto degli acconti minimi, frammentari ed inadeguati, nelle seguenti misure:
a) per i beni nei territori ceduti, la legge 8 novembre 1956, n. 1325, ha moltiplicato il valore del 1938 dei beni per 35, 20 e 7 (per i piccoli, medi e grandi);
b) la legge 6 marzo 1968, n. 193, ha elevato i coefficienti a 50, 25 e 12;
c) la legge 5 aprile 1985, n. 135, li ha unificati a 200;
d) per i beni dell’ex zona B, la legge 18 marzo 1958, n. 269, ha fissato i coefficienti in 40, 20 e 7, elevati con la citata legge n. 193 del 1968 a 50, 25 e 12 e con il decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1977, n. 772, a 75, 37 e 18. Da ultimo, la norma parificatoria, la citata legge n. 135 del 1985, li ha unificati a 200.
Il trattamento applicato ai giuliani (valore dei beni nel 1938 moltiplicato per il coefficiente 200), cittadini italiani autoctoni delle terre perdute che hanno abbandonato tutto, é decisamente inferiore a quello praticato per i beni lasciati nei territori africani delle ex colonie e della Tunisia dai cittadini italiani (non autoctoni): nel 1964 per i beni in Tunisia, nel 1970 per quelli in Libia e nel 1975 per quelli della «Nuova Etiopia».
A parte ciò, é doveroso rilevare che in Italia vige una legge diversa per indennizzare i cittadini italiani che sono stati danneggiati nei loro beni immobili da eventi bellici, quantunque il nostro Paese non sia vincolato in questo da trattati internazionali di sorta.
Si tratta del decreto del Ministro dei lavori pubblici che annualmente (con richiamo al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 10 aprile 1947, n. 261, alla legge 25 giugno 1949, n. 409, alla legge 27 dicembre 1953, n. 968, alla legge 13 luglio 1966, n. 610, al decreto interministeriale n. 3889 dell’8 novembre 1965, eccetera), prevede la «Determinazione della base di commisurazione annua del contributo statale per il ripristino di edifici privati distrutti a seguito di eventi bellici».
L’articolo 27 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, prescrive: «La base di commisurazione del contributo é determinata come segue:
a) si stabilisce la spesa occorrente per il ripristino, la riparazione e la ricostruzione, secondo i prezzi vigenti nel mese precedente alla dichiarazione di guerra; (…)
c) l’importo risultante si moltiplica per il rapporto esistente fra i prezzi al momento del ripristino, della riparazione o della ricostruzione ed i prezzi vigenti nel mese pecedente alla dichiarazione di guerra» (maggio 1940).
Secondo il decreto del Ministro dei lavori pubblici del 18 ottobre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 25 novembre 1993: «Il rapporto di cui alla lettera c) dell’articolo 27 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, relativo alla determinazione della base di commisurazione del contributo statale per il ripristino di edifici privati distrutti a seguito di eventi bellici, é stabilito, per tutto il territorio nazionale per il periodo 1º gennaio 1992-31 dicembre 1992, in 1767».
Per calcolare gli indennizzi dei beni abbandonati dagli esuli, tale coefficiente di rivalutazione (1.767 volte) va naturalmente aumentato in proporzione alla svalutazione della lira nei periodi dal 1938 al maggio 1940 e dal 1992 all’anno di entrata in vigore della nuova auspicabile legge. Per effetto di tali incrementi, alla fine del 1993, il coefficiente di rivalutazione risultava di 2.300 volte.
Come già detto, i beni dei profughi istriani, fiumani e dalmati vengono liquidati invece con un coefficiente di rivalutazione di 200 volte il valore dell’anno 1938.
Gli esuli titolari di beni, che con essi hanno pagato i debiti di guerra dell’intera nazione italiana, si aspettano quindi dallo Stato italiano un provvedimento equo e definitivo, e ciò a prescindere dagli sviluppi e dai risultati dei rapporti italo-sloveni e italo-croati in ordine ai molteplici aspetti legati alle relazioni politiche ed economiche interstatali che già hanno trovato momenti d’intesa col «Memorandum of Understanding on the protection of the Italian minority in Croatia and Slovenia» sottoscritto a Roma il 15 gennaio 1992 e con il «Treaty between Italian Republic and the Republic of Croatia concerning minority rights» sottoscritto a Zagabria il 5 novembre 1996.
Dopo mezzo secolo di vane attese e di delusioni la questione di un indennizo equo e definitivo non può essere risolta con una nuova elemosina, e ciò senza tener conto che per gli esuli lo Stato italiano é obbligato dal Trattato di pace a definire, una volta per sempre, la materia.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
1. Ai titolari di beni, diritti e interessi italiani siti nei territori ceduti alla Jugoslavia con il Trattato di pace di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato con la legge 25 novembre 1952, n. 3054, e nella zona B del territorio libero di Trieste, di cui alle leggi 5 dicembre 1949, n. 1064, 31 luglio 1952, n. 1131, 29 ottobre 1954, n. 1050, al decreto del Presidente della Repubblica 17 agosto 1955, n. 946, alle leggi 8 novembre 1956, n. 1325, 18 marzo 1958, n. 269, 6 ottobre 1962, n. 1469, 2 marzo 1963, n. 387, 6 marzo 1968, n. 193, 14 marzo 1977, n. 73, al decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1977, n. 772, nonchè alle leggi 26 gennaio 1980, n. 16, e 5 aprile 1985, n. 135, viene corrisposto dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica l’indennizzo definitivo sulla base dell’equo prezzo medio dei beni nell’anno 1938 moltiplicato per il coefficiente di rivalutazione del contributo statale per il ripristino di edifici privati distrutti da eventi bellici, ovvero del rapporto tra i prezzi attuali ed i prezzi degli edifici vigenti nel mese precedente la dichiarazione di guerra (maggio 1940), stabilito annualmente con decreto del Ministero dei lavori pubblici in base ai dati dell’Istituto nazionale di statistica, con l’incremento relativo alla svalutazione della lira nel periodo dal gennaio 1938 al maggio 1940.
2. Gli indennizzi corrisposti in base alle disposizioni citate nel comma 1 prima della data di entrata in vigore della presente legge sono detratti dall’indennizzo definitivo stabilito ai sensi del medesimo comma.
Art. 2.
1. L’equo prezzo medio nell’anno 1938, di cui all’articolo 1, é fissato in misura pari a 1,5 volte il valore di stima dei beni stessi in base al quale sono stati corrisposti gli indennizzi prima della data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 3.
1. Separatamente, ai titolari di beni di cui all’articolo 1, è corrisposta l’accumulazione degli interessi calcolata:
a) su un capitale pari all’ammontare dell’indennizzo definitivo, di cui all’articolo 1, dal quale devono essere detratti, dalla data della loro liquidazione, gli indennizzi corrisposti prima della data di entrata in vigore della presente legge;
b) in base al tasso legale;
c) per un numero intero d’anni, essendo omessa la frazione dell’ultimo anno;
d) con inizio dal 16 giugno 1947 per i beni sottoposti da parte jugoslava a nazionalizzazione o a riforma agraria o ad ogni altra misura generale o particolare limitativa della proprietà, nonché per i beni i cui titolari non erano, alla data del 16 settembre 1947, residenti permanentemente nei territori ceduti alla Jugoslavia o nella ex zona B del territorio libero di Trieste;
e) con inizio dal giorno d’iscrizione all’anagrafe del comune di prima sistemazione o in un campo di raccolta profughi, nei casi diversi da quelli di cui alla lettera d). Tale inizio non può essere, in alcun caso, precedente al 16 settembre 1947;
f) con termine nel giorno di deliberazione di liquidazione dell’indennizzo definitivo da parte del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione econimica.
Art. 4.
1. Il pagamento degli indennizzi definitivi e degli interessi previsti dagli articoli 1 e 3 è effettuato in contanti o in titoli di Stato, a discrezione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Art. 5.
1. Agli effetti della presente legge, sono valide le denunce e le domande già presentate ai sensi delle disposizioni richiamate nell’articolo 1.
Art. 6.
1. Le somme riguardanti gli indennizzi definitivi di cui all’articolo 1 non sono considerate come redditi tassabili e sono del pari esenti da qualsiasi imposta o tassa.
2. Le somme di cui al comma 1 non concorrono inoltre a determinare il patrimonio imponibile e le relative aliquote ai fini delle imposte.
3. Le somme e gli indennizzi corrisposti, in base alle disposizioni citate nell’articolo 1, prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esenti dall’imposta di successione.
Art. 7.
1. Gli indennizzi definitivi sono erogati agli aventi diritto in base agli accertamenti già acquisiti dagli organi ministeriali, ai sensi dell’articolo 5, entro e non oltre il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per i beni con valore al 1938 fino a 200.000 lire, e nel triennio 2000-2002 per i restanti beni.